Avvocato Domenico Esposito |
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RIASSUNZIONE, BASTA IL DEPOSITO DEL RICORSO PER IMPEDIRE LA DECADENZA
LA RIASSUNZIONE DEL PROCESSO DOPO L'INTERRUZIONE DEVE ESSERE EFFETTUATA, SECONDO GLI ART. 303 E 305 C.P.C., CON IL DEPOSITO DEL RICORSO, ENTRO IL TERMINE PRESCRITTO, PRESSO LA CANCELLERIA DEL GIUDICE PRECEDENTEMENTE ADITO, E TALE DEPOSITO IMPEDISCE L'ESTINZIONE DEL PROCESSO.
Cassazione civile, sez. un. 28/06/2006 n. 14854 ha pronunciato la seguente: sentenza contro (…), domiciliato in ROMA, presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati (…), giusta delega in calce al controricorso; - controricorrente – e contro (…); - intimato – avverso la sentenza n. 68/2003 della Corte d'Appello di CAGLIARI, depositata il 10/03/2003; udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 25/05/2006 dal Consigliere Dott. Renato RORDORF; udito l'Avvocato Roberta TORTORA dell'Avvocatura Generale dello Stato, Luigi MARCIALIS; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PALMIERI Raffaele che ha concluso per l'accoglimento per quanto di ragione, del ricorso incidentale con dichiarazione di estinzione del
giudizio di appello. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Il sig. (…) e la società (…) s.p.a., in liquidazione, con atto notificato il 21 febbraio 1978 citarono la Regione autonoma Sardegna in giudizio dinanzi al Tribunale di Cagliari. Riferirono che, con un D.P.G.R. 28 marzo 1963, detta società era stata ammessa al beneficio dell'anonimato azionario, in forza di quanto previsto dalla L.R. 12 aprile 1957, n. 10, con autorizzazione ad emettere azioni al portatore sino a L. 1.000.000.000. Il sig. (…), in applicazione del disposto dell'art. 3 della citata legge, aveva depositato presso la tesoreria della Regione diecimila azioni, del valore nominale di L. 10.000 ciascuna: duemila a titolo di cauzione riferita al capitale di costituzione della società, ammontante a complessive L. 200.000.000, ed altre ottomila quale cauzione in vista del programmato aumento del medesimo capitale sino all'importo di L. 1.000.000.000. Tale aumento di capitale non era stato poi però eseguito, ne’ era stato possibile dar corso al previsto programma industriale. Era inoltre accaduto che, per effetto dell'entrata in vigore della L.S. 9 ottobre 1971, n. 825, e del conseguente D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, fosse divenuto obbligatorio il regime di nominatività dei titoli azionari; il che aveva determinato l'abrogazione, in quanto incompatibile, della citata L.R. n. 10 del 1957 e l'obbligo di convertire in azioni nominative le azioni al portatore emesse in forza di detta legge. In conseguenza di tutto ciò - riferirono ancora gli attori - la Regione aveva consegnato alla società (…)i titoli azionari a suo tempo depositati dal sig. (…), chiedendone l'intestazione entro i termini di legge a chi di dovere; ma aveva poi avanzato richiesta di restituzione dei corrispondenti titoli nominativi, assumendo di aver diritto ad incamerarli. Tanto premesso, gli attori chiesero al tribunale di accertare il diritto di proprietà del sig. (…) sui titoli azionari di cui s'è detto e di condannare la Regione a risarcire il danno conseguente al ritardo cagionato alle operazioni di liquidazione della società, da quantificarsi in separato giudizio. La Regione convenuta si costituì facendo presente che, con Decreto emesso in data 22 novembre 1974 dal presidente della giunta, essendo la società (…)decaduta dal beneficio dell'anonimato azionario, era stato disposto l'incameramento delle azioni in precedenza depositate a titolo di cauzione dal sig. (…); e che l'impugnazione tardivamente proposta dalla società avverso l'ulteriore D.P.R. 13 giugno 1975, con cui era stato respinto il reclamo formulato contro il primo provvedimento, era stata dichiarata inammissibile dal Tar della Sardegna, con sentenza in data 19 aprile 1977, passata in giudicato. Eccepi’ pertanto il difetto di giurisdizione del giudice ordinario e chiese, comunque, il rigetto delle domande proposte dagli attori. Il tribunale, ritenuta la propria giurisdizione, accolse invece dette domande, dichiarando la proprietà del sig. (…) sulle diecimila azioni a suo tempo depositate a titolo di cauzione e condannando la Regione al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separato giudizio. La Regione propose appello, cui resistettero il sig. (…) e la società (…). A seguito del decesso del difensore degli appellati, il processo fu interrotto. Fu poi riassunto dall'appellante e proseguì, nella dichiarata contumacia della società, dopo che il consigliere istruttore, rilevata la nullità della notifica dell'atto di riassunzione alla medesima società, ne aveva disposto la rinnovazione. Quindi, con sentenza depositata il 10 marzo 2003, la Corte d'appello di Cagliari rigettò il gravame. La corte sarda, previa reiezione dell'eccezione con cui la difesa dell'appellato sig. (…) voleva fosse dichiarata l'estinzione del processo per intempestiva riassunzione dello stesso dopo l'interruzione dovuta alla morte del difensore della società (…), ritenne che sussistesse la giurisdizione del giudice ordinario e che le domande degli attori (poi appellati) fossero fondate: giacche’ il decreto con cui il presidente della giunta regionale aveva disposto l'incameramento delle azioni depositate a titolo di cauzione - decreto fondato sulla previsione di una legge regionale ormai abrogata - doveva considerarsi emesso in totale carenza di potere, ed era quindi inidoneo ad incidere sulla titolarità della partecipazione azionaria spettante al sig. (…). Donde il riconoscimento anche del diritto al risarcimento dei danni sofferti da quest'ultimo e dalla società (…), le cui operazioni di liquidazione erano state così indebitamente ostacolate, tenuto anche conto del fatto che le ottomila azioni consegnate dal sig. (…) in vista dell'aumento di capitale poi non eseguito neppure potevano essere considerate come facenti parte della cauzione. Avverso tale sentenza la Regione Sardegna ha proposto ricorso per Cassazione, articolato in cinque motivi. Il difensore della società (…) ha depositato memoria. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. I ricorsi proposti avverso la medesima debbono preliminarmente essere riuniti, secondo quanto dispone l'art. 335 c.p.c.. 2. Dei cinque motivi in cui si articola il ricorso principale, il primo ed (in parte) il terzo attengono alla giurisdizione, gli altri (e la parte restante del terzo) al merito della controversia. 3. Per intendere compiutamente i termini della questione processuale posta con detti ricorsi incidentali conviene anzitutto riassumere brevemente l'accaduto. 3.1. All'udienza del 23 novembre 1998, a seguito del decesso del difensore degli appellati, il giudizio di secondo grado fu interrotto. 3.2. chiamata a pronunciarsi sull'eccezione di estinzione del giudizio, la corte d'appello la ha disattesa, osservando: a) che entrambe le notifiche dell'atto di riassunzione alla società, non essendosi rinvenuto alcuno nella sede sociale, legittimamente erano state eseguite nella residenza del legale rappresentante, con le formalità previste dall'art. 140 c.p.c., in presenza delle condizioni in detta norma indicate; b) che, nondimeno, la prima di tali notifiche era da ritenersi nulla, per difetto di affissione dell'avviso alla porta dell'abitazione del destinatario; c) che alla declaratoria di nullita’ della prima notifica l'istruttore correttamente aveva fatto seguire la concessione alla parte interessata di un nuovo termine per la rinnovazione, essendo stato comunque rispettato, con il tempestivo deposito del ricorso per riassunzione, il termine perentorio di sei mesi previsto dall'art. 305 c.p.c. ed essendo da considerare meramente ordinatorio il termine per la notifica successivamente stabilito dal giudice. 3.3. Avverso tali argomentazioni si appuntano le critiche espresse nei ricorsi incidentali della società (…) e del sig. (…), i quali sostengono: a) che il mancato rispetto del termine originariamente fissato dall'istruttore per la notifica alla società dell'atto di riassunzione aveva ormai determinato l'estinzione del giudizio, non potendosi quel termine utilmente prorogare dopo la sua scadenza e, tanto meno, dopo la scadenza del termine semestrale perentoriamente fissato dall'art. 305 c.p.c.; b) che, comunque, anche la seconda notifica dell'atto di riassunzione sarebbe da ritenersi nulla, siccome effettuata nella residenza del legale rappresentante della società, a norma dell'art. 140 c.p.c., quantunque la sede della società fosse tuttora esistente e reperibile, ed in violazione della norma dettata dall'art. 145 c.p.c., da cui dovrebbe evincersi che, in caso di irreperibilita’ in detta sede di persone abilitate a ricevere l'atto, la notifica può avvenire presso la residenza del legale rappresentante solo nelle forme previste dagli artt. 138, 139 e 141 c.p.c., e non anche ai sensi del citato art. 140 c.p.c.. 4. Le doglianze teste’ riportate non hanno fondamento. 4.1. E' stato più volte ripetuto nella giurisprudenza di questa corte che, verificatasi una causa d'interruzione del processo, ha natura perentoria solo il termine di sei mesi stabilito dall'art. 305 c.p.c. per la riassunzione, laddove è meramente ordinatorio il termine in concreto assegnato dal giudice per la notifica dell'atto di riassunzione alla controparte, ex art. 303 c.p.c.; con la conseguenza che non è preclusa la proroga di quest'ultimo termine e che, in caso di sua scadenza, è consentita la concessione di altro termine per la notifica dell'atto riassuntivo. Ma si è poi soliti soggiungere che la possibilità di concedere legittimamente siffatta proroga, o di rinnovare il termine di notifica dell'atto di riassunzione e del decreto di fissazione dell'udienza, trova un limite invalicabile: limite consistente nel non essere frattanto già decorso il termine di sei mesi dalla conoscenza dell'interruzione del giudizio fissato dal citato art. 305 c.p.c. (per affermazioni di tal genere si vedano, tra le altre, Cass. n. 5548/1994, n. 8314/1997, n. 4365/1998, n. 5736/1999, n. 9504/2002, n. 5625/2002 e n. 14371/2005). Facendo leva sulla previsione del citato art. 291 c.p.c. e sulla potestà accordata al giudice da tale norma di disporre il rinnovo della notificazione dell'atto di riassunzione in precedenza mal notificato, si svincola infatti del tutto tale potestà dal limite del decorso dei sei mesi dal verificarsi dell'evento interruttivo o dalla conoscenza che le parti abbiano avuto di esso. Quest'ultimo orientamento è stato seguito da un'ulteriore più recente pronuncia (Cass. n. 14085/2005), anche in un caso nel quale risultava applicabile il rito ordinario, sul rilievo che il meccanismo riassuntivo disciplinato dagli artt. 303 e 305 c.p.c. è comune sia al processo retto dal rito ordinario sia a quello da applicare per le cause in materia di lavoro. 4.1.1. E' convinzione delle sezioni unite che l'orientamento giurisprudenziale da ultimo riferito meriti conferma, nei termini appresso indicati, e che debba perciò darsi ad esso continuità. La riassunzione di una causa interrotta e non proseguita a norma dell'art. 302 c.p.c. si attua, com'è noto, mediante un procedimento bifasico: anzitutto con il deposito del ricorso per riassunzione nella cancelleria del giudice e, quindi, previa fissazione con decreto di apposita udienza ad opera del medesimo giudice, mediante notifica alla controparte del ricorso e del decreto. L'art. 305 c.p.c. (come risultante a seguito della sentenza n. 159/1971 della Corte costituzionale) fissa per la riassunzione il termine perentorio di sei mesi a decorrere dalla data in cui le parti hanno avuto conoscenza dell'evento interruttivo, ma non specifica espressamente se entro quel termine debbano essere espletate entrambe le fasi del procedimento di riassunzione sopra menzionate, ovvero soltanto la prima di esse. La risposta, tuttavia, appare obbligata. Il termine in questione è posto, infatti, a carico della parte che intenda procedere alla riassunzione, ma solo la prima delle due fasi del procedimento - il deposito in cancelleria del ricorso per riassunzione - dipende immediatamente dall'iniziativa della parte stessa, essendo poi rimesso al giudice di stabilire i tempi entro cui dovrà essere espletata la seconda fase, consistente nella notificazione alla controparte del ricorso e del decreto di fissazione dell'udienza. Può ben accadere (anzi, accade sovente ed è accaduto anche nella presente fattispecie) che il termine fissato dal giudice per eseguire la notificazione prescritta dall'art. 303 c.p.c. oltrepassi la scadenza semestrale prevista dal citato art. 305 c.p.c., onde è inevitabile che l'intero procedimento di riassunzione si completi oltre detta scadenza; nè si dubita - come già ricordato - che siffatto termine di notificazione, in sè solo considerato, abbia natura meramente ordinatoria, posto che il richiamato art. 303 c.p.c. non dispone diversamente. E' perciò soluzione incongrua il far dipendere la concreta possibilità di disporre la rinnovazione di quella notificazione, se viziata, dalla scadenza di un termine che si riferisce ad un adempimento già compiuto e che potrebbe essere o meno già decorso in conseguenza di un evento - lo specifico tenore del decreto emesso dal giudice in calce al ricorso per riassunzione tempestivamente depositato dalla parte - del tutto indipendente dall'attività della parte medesima. Soluzione non solo incongrua, ma anche contraria all'esigenza di evitare un'interpretazione che potrebbe comportare l'ingiustificata compressione del diritto di difesa garantito dall'art. 24 Cost., e che rischierebbe altresì di determinare ingiustificate disparità di trattamento, in violazione dell'art. 3 della medesima Costituzione, perche’ potrebbe condurre a soluzioni opposte a seconda di una scelta del giudice (quella di far cadere di volta in volta il termine per la notifica al di qua o al di là della scadenza del semestre indicato dal citato art. 305 c.p.c.) dettata da ragioni organizzative che ben possono divergere da un ufficio all'altro o da un momento all'altro. Ne’ va trascurato che siffatta esigenza di un'interpretazione costituzionalmente orientata (con particolare riferimento alla previsione del citato art. 24 Cost.) appare tanto più evidente quando - come nel caso in esame - il vizio da cui sia colpita la notifica dell'atto di riassunzione e del decreto di fissazione dell'udienza consegua ad un difetto di attività dell'ufficiale giudiziario: onde accadrebbe - se si seguisse la tesi qui avversata - che la parte la quale abbia tempestivamente provveduto agli adempimenti ad essa richiesti, depositando il ricorso per riassunzione entro il prescritto termine semestrale dalla conoscenza dell'evento interruttivo e consegnando poi all'ufficiale giudiziario la copia del medesimo ricorso e del decreto di fissazione dell'udienza in tempo utile per la notifica alla controparte, si troverebbe nondimeno a subire l'estinzione del giudizio in conseguenza di un errore del procedimento di notifica ad essa non imputabile ne’ in alcun modo prevenibile. Va perciò senz'altro preferita la diversa soluzione, già fatta propria da Cass. n. 14085/2005, ribadendo come, in presenza di un meccanismo di riattivazione del rapporto processuale interrotto, destinato a realizzarsi distinguendo il momento della rinnovata editio actionis da quello della vocatio in ius, il termine perentorio indicato dall'art. 305 c.p.c. sia riferibile solo al deposito del ricorso nella cancelleria del giudice, sicchè, una volta eseguito tempestivamente tale adempimento e recuperato così il contatto tra la parte interessata ed il giudice, quel termine non può più giocare alcun ruolo. La fissazione successiva ad opera del medesimo giudice di un ulteriore termine, destinato a garantire il corretto ripristino del contraddittorio interrotto nei confronti della controparte, presuppone che quell'altro precedente termine sia stato rispettato, ma ormai ne prescinde e risponde invece unicamente alla necessità di assicurare il rispetto delle regole proprie della vocatio in ius, ivi compresa quella - espressamente menzionata dal citato art. 303 c.p.c., u.c. - secondo la quale la parte cui l'atto sia stato notificato e che non si sia costituita deve esser dichiarata contumace. Ed è perciò appunto alle disposizioni dettate dall'art. 291 c.p.c., implicitamente così richiamate, che occorre far riferimento per individuare la disciplina applicabile in caso di nullità della notifica dell'atto di riassunzione; donde la conseguenza che, in simili casi, il giudice deve ordinare la rinnovazione della notifica medesima entro un termine perentorio (e che tale è perchè così espressamente lo definisce il primo comma del citato art. 291 c.p.c.), solo il mancato rispetto del quale determinerà poi l'eventuale estinzione del giudizio, per il combinato disposto dello stesso art. 291 c.p.c., u.c., e del successivo art. 307 c.p.c., comma 3. 4.2. Del pari infondato è il secondo profilo di doglianza dianzi riferito, che attiene alla validità della rinnovata notifica dell'atto di riassunzione alla società (…). Posto, infatti, che l'impossibilità di procedere alla notifica dell'atto presso la sede di detta società ubicata in Cagliari nello studio di un legale (conformemente alle indicazioni ricavabili dai prodotti certificati camerali) è incontestabilmente attestata dalla relazione dell'ufficiale giudiziario e non può essere ulteriormente rimessa in discussione in questa sede, deve trovare applicazione il principio già enunciato da Sez. un., n. 8091/2002, a tenore del quale, in tema di notificazione alle persone giuridiche, se la notificazione non può essere eseguita con le modalità di cui all'art. 145 c.p.c., comma 1, - ossia mediante consegna di copia dell'atto al rappresentante o alla persona incaricata di ricevere le notificazioni o, in mancanza, ad altra persona addetta alla sede stessa - e nell'atto è indicata la persona fisica che rappresenta l'ente, si osservano, in applicazione del 3 comma del medesimo art. 145 c.p.c., le disposizioni degli art. 138, 139 e 141 c.p.c.; e se neppure l'adozione di tali modalità consente di pervenire alla notificazione, si procede con le formalità dell'art. 140 c.p.c., da esperirsi nei confronti del legale rappresentante, se indicato nell'atto e se abbia un indirizzo diverso da quello della sede dell'ente; mentre solo nel caso in cui la persona fisica non sia indicata nell'atto da notificare, dette formalità sono da eseguire direttamente nei confronti della società. 4.3. I ricorsi incidentali vanno dunque rigettati. 5.3. Esclusa, dunque, la possibilità d'invocare l'autorità di un precedente giudicato sulla giurisdizione, si deve altresì senz'altro escludere che, nella specie, difettasse la giurisdizione del giudice ordinario a pronunciare su azioni - azioni di accertamento del diritto di proprietà e di risarcimento di danni per illecito aquiliano - il cui petitum (formale e sostanziale) è indiscutibilmente configurabile in termini di diritto soggettivo, e rispetto alle quali l'eccepita esistenza di un decreto di incameramento ad opera della presidenza della giunta regionale dei titoli azionari potendo condurre al rigetto o all'accoglimento delle proposte domande, a seconda che quel decreto sia o meno da considerare legittimo - ma non certo di giurisdizione. 6. Attengono al merito le ulteriori doglianze espresse nel ricorso proposto dalla Regione Sardegna. 6.2. Si duole poi l'amministrazione regionale, nel quarto motivo, che la corte sarda, differenziando la situazione delle prime duemila azioni consegnate originariamente dal sig. (…) a titolo di cauzione da quella delle altre ottomila azioni consegnate in un momento successivo (in vista dell'aumento di capitale poi non eseguito) e negando che anche queste ultime concorressero a costituire la cauzione prevista della citata L.R. n. 10 del 1957, abbia violato gli artt. 112 e 346 c.p.c., perche’ siffatta tesi era stata sì prospettata dalla difesa degli attori in primo grado, ma non era stata più poi ripresa dalla quella stessa difesa in appello. 6.3. Errata in diritto ed insufficiente nella motivazione sarebbe poi l'impugnata sentenza - secondo quel che si legge nel quinto ed ultimo motivo del ricorso della Regione - anche nel punto in cui ha pronunciato condanna generica della medesima Regione al risarcimento dei danni, senza però considerare che nessun danno, neppur solo potenziale, era stato dimostrato dagli attori, essendo pacifico che i controversi titoli azionari erano stati restituiti al liquidatore della società, il quale, dunque, avrebbe potuto senza ostacolo dar corso alle operazioni di liquidazione indipendentemente dall'esistenza della lite sulla proprietà di dette azioni. 7. Le doglianze di merito ora riferite appaiono fondate, ma solo nei limiti di cui appresso. 7.1.1. S'è già accennato che la L. n. 10 del 1957 della Regione Sardegna prevedeva la possibilita’ che fossero emesse azioni al portatore da società con sede nella regione disposte a creare o gestire nuovi impianti industriali per la produzione in luogo di beni o servizi o per nuove iniziative armatoriali (art. 1); 7.1.2. In epoca successiva, la L.S. 9 ottobre 1971, n. 825, art. 10, n. 13, delego’ il Governo all'abolizione delle deroghe al principio della nominativa obbligatoria dei titoli azionari previste nelle leggi di regioni a statuto speciale, ivi compresa dunque la L.R. Sardegna n. 10 del 1957. 7.2. Secondo la corte d'appello la disposizione da ultimo citata avrebbe fatto venir meno, sin dalla suddetta data del 1 luglio 1974, l'intero impianto normativo della citata legge della regione Sardegna e, di conseguenza, avrebbe privato l'amministrazione regionale di qualsiasi possibilità, non solo di autorizzare l'emissione di nuove azioni al portatore ai sensi di detta legge, ma anche di procedere all'incameramento di quelle già emesse e depositate a titolo di cauzione, pure in presenza delle condizioni alle quali la legge medesima prevedeva tale potere di incameramento. 7.3. Risultano pertanto fondati, alla stregua di tali considerazioni e nei limiti sopra indicati, il secondo ed (in parte qua) il terzo motivo del ricorso principale. 7.4. Fondato non è, invece, il quarto motivo del medesimo ricorso. 7.4.1. Non lo è, anzitutto, con riferimento alla pretesa violazione degli artt. 346 e 112 c.p.c.. Se è vero che all'inesistenza di un titolo originario che legittimasse la Regione a trattenere le ottomila azioni, depositate in vista dell'aumento del capitale poi non effettuato dalla società (…), gli attori si erano espressamente riferiti nelle loro difese di primo grado e non anche in quelle d'appello, non per questo appare essersi determinata preclusione alcuna a che il giudice di secondo grado potesse occuparsene. Non si trattava, infatti, ne’ di un'autonoma domanda ne’, tanto meno, di un'eccezione, che, se non accolta dal primo giudice, avrebbe dovuto esser riproposta espressamente in sede di gravame. Si trattava, invece, di un mero profilo argomentativo, addotto a sostegno della domanda di accertamento della proprietà dei titoli azionari in questione, sul quale il tribunale ha reputato superfluo soffermarsi avendo comunque ravvisato l'esistenza di altre assorbenti ragioni di accoglimento di quella domanda, ma che non per questo poteva ritenersi ormai estraneo al dibattito processuale riacceso dall'atto d'appello proposto dalla Regione. 7.4.2. Le ragioni per le quali la corte d'appello ha ritenuto non sussistente il diritto della Regione di incamerare (oltre alle duemila azioni depositate quale cauzione a fronte del capitale di costituzione della società) anche le altre ottomila azioni che erano state depositate dal sig. (…). nella tesoreria regionale in vista di un aumento di capitale poi di fatto non eseguito, benche’ assai sinteticamente espresse nella motivazione dell'impugnata sentenza, risultano chiare e, nel merito, condivisibili. 7.5. Infondato e’, infine, anche l'ultimo motivo di ricorso, che, per un verso, investe valutazioni di merito (se, in concreto, il comportamento illegittimo consistito nell'aver preteso di incamerare titoli azionari almeno in parte non spettanti all'amministrazione regionale abbia o meno davvero potuto ostacolare le operazioni di liquidazione della societa’) non suscettibili di esame in questa sede; per altro verso, postula vizi di motivazione non riscontrabili nell'impugnata sentenza, se non a condizione di procedere ad un esame di circostanze di fatto cui il ricorso allude ma in modo non sufficientemente specifico, e che, per la loro stessa natura, sfuggono anch'esse allo scrutinio di questo giudice di legittimità. 8. L'impugnata sentenza deve pertanto essere cassata in relazione alle sole censure che sono state accolte, ossia solo nella parte in cui, confermando la pronuncia di primo grado, ha accertato la proprietà del sig. (…) sulle duemila azioni della società (…), del valore nominale di L. 10.000.000 ciascuna, da lui depositate in cauzione presso la tesoreria della Regione Sardegna a fronte del capitale di costituzione di detta società. Restano invece ferme le statuizioni della medesima sentenza riguardanti la proprietà delle ulteriori ottomila azioni depositate dallo stesso sig. (…) e la condanna generica della Regione Sardegna al risarcimento dei danni. 9. La parziale soccombenza reciproca delle parti induce a compensare tra le stesse le spese dell'intero giudizio. P.Q.M. La corte: Così deciso in Roma, il 25 maggio 2006. |
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