Avvocato Domenico Esposito |
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IL DANNO E' PRESUNTO
Cassazione civile, sez. I 28/01/2010 n. 1997 Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: ordinanza sul ricorso proposto da: contro ..........................; - intimato - avverso il decreto della Corte d'appello di Roma depositato il 19
febbraio 2007. RITENUTO IN FATTO che il relatore designato, nella relazione depositata il 30 marzo 2009, ha formulato la seguente proposta di definizione: Il ricorso reca motivi seguiti da quesito di diritto, come imposto dall'art. 366 bis c.p.c.. L'intimato non ha resistito con controricorso. Il decreto impugnato ha accolto la domanda di equo indennizzo per danno non patrimoniale nella misura dianzi specificata, avendo accertato una durata irragionevole del processo di dieci anni. Il primo motivo - che contesta l'automatismo nel riconoscimento del danno non patrimoniale da ritardo - è manifestamente infondato; e manifestamente infondati sono del pari gli altri motivi, con cui si denuncia violazione delle norme sull'onere della prova. La Corte d'appello ha esattamente affermato che il danno non patrimoniale si verifica nella normalità dei casi senza necessità di specifica prova, sicchè lo stress da attesa va presunto, secondo l'id quod plerumque accidit. Così decidendo, la Corte d'appello si è attenuta al principio per cui, in tema di equa riparazione ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, il danno non patrimoniale è conseguenza normale, ancorchè non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, di cui all'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali: Siffatta lettura della norma di legge interna - oltre che ricavabile dalla "ratio" giustificativa collegata alla sua introduzione, particolarmente emergente dai lavori preparatori (dove è sottolineata la finalità di apprestare in favore della vittima della violazione un rimedio giurisdizionale interno effettivo, capace di porre rimedio alle conseguenze della violazione stessa, analogamente alla tutela offerta nel quadro della istanza internazionale) - è imposta dall'esigenza di adottare un'interpretazione conforme alla giurisprudenza della Corte europea di Strasburgo (alla stregua della quale il danno non patrimoniale conseguente alla durata non ragionevole del processo, una volta che sia stata dimostrata detta violazione dell'art. 6 della Convenzione, viene normalmente liquidato alla vittima della violazione, senza bisogno che la sua sussistenza sia provata, sia pure in via presuntiva), così evitandosi i dubbi di contrasto con la Costituzione italiana, la quale, con la specifica enunciazione contenuta nell'art. 111, tutela il bene della ragionevole durata del processo come diritto della persona, sulla scia di quanto previsto dalla norma convenzionale. CONSIDERATO IN DIRITTO che gli argomenti e le proposte contenuti nella relazione di cui sopra, alla quale non sono stati mossi rilievi critici, sono condivisi dal Collegio
che, quindi, il ricorso deve essere rigettato; P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 19 ottobre 2009. |
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