Avvocato Domenico Esposito |
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DIRITTO A UN SOLO MINORE DIVERSAMENTE ABILE PER CLASSE, A CLASSI FORMATE AL MASSIMO DA 20 ELEMENTI, A OPERATORI SPECIALIZZATI IN ISTRUZIONEIl TAR del Lazio, in applciazione della Legge, afferma che il minore ha diritto: - a essere l’unico alunno diversamente abile della classe, salvo casi eccezionali di disabili non gravi;
REPUBBLICA ITALIANA composto da S E N T E N Z A sul ricorso n. 11343/2006 R.G. proposto da (...) e (...), in proprio e quali genitori di (...),
rappresentati e difesi dagli avv.ti (...) e (...), presso cui sono elettivamente domiciliati in
Roma, via (...); contro - la Scuola Primaria Statale (...), in persona del legale rappresentante pro tempore,
costituitasi formalmente in giudizio tramite l’Avvocatura dello Stato; per la declaratoria Visto il ricorso con i relativi allegati; FATTO Con il presente gravame i ricorrenti, genitori di un minore autistico, hanno impugnato: 1) in parte il
diniego di accesso ai documenti richiesti con istanza del 18.10.2006; DIRITTO 1. In linea preliminare deve essere respinta la richiesta di estromissione dal giudizio del Comune
di Roma in quanto ai sensi dell’art. 40 della L. n. 104/1992 spetta agli enti locali l’attuazione degli
interventi sociali in materia. 2. Con l’unico motivo che residua i ricorrenti premettono che: I ricorrenti lamentano che detta soluzione creerebbe un grave disagio al piccolo perché negherebbe la socializzazione con i compagni e la piena inclusione nella classe, che è essenziale per la crescita e per l’apprendimento. Con il presente gravame impugnano la nota del 18.10.2006 con cui l’Amministrazione ha esitatonegativamente la loro richiesta sia per esigenze di carattere organizzativo e logistico della struttura scolastica, sia perchè essendo interesse della scuola garantire «lo star bene di ciascun alunno» pure sottolineando che avrebbe organizzato per gli alunni diversamente abili, spazi alternativi all’aula. Assumono i ricorrenti che il comportamento tenuto dall’Amministrazione convenuta sarebbe del
tutto inadeguato, lesivo del diritto allo studio ed alla salute. La situazione avrebbe arrecato già un grave danno al minore, alla famiglia ed alla stessa comunità
scolastica che inoltre si lamenta del modo con cui la scuola gestisce le figure specializzate
esistenti. Mentre la scuola utilizzerebbe solo il personale comunale cui affiderebbe il ruolo di assistente all’igiene privando il minore di un apporto completo per meglio vivere la quotidianità della scuola, il Comune di Roma non metterebbe a disposizione della scuola il necessario personale specializzato costringendo le famiglie a pagare per questo servizio. Il ricorso è fondato. In via generale si osserva che, l’impulso all’integrazione nella scuola innescato dalla legge n.
517/1977 (con cui si era avuta la prima affermazione del diritto all’educazione e all’istruzione dei
soggetti svantaggiati) è stato riaffermato con la Legge-quadro 5 febbraio 1992, n. 104 che ha dato
attuazione, per le persone con handicap, ai principi dettati da un lato dall’articolo 3, primo e
secondo comma, della Costituzione garantendo loro pari dignità sociale e stabilendo le modalità
con le quali la Repubblica si impegna a rimuovere gli ostacoli che ne impediscono il pieno sviluppo
e l’effettiva partecipazione alla vita politica, economica e sociale del paese; da un altro all’articolo Il Consiglio di Stato, con parere della Sezione Atti Normativi n. 4699/03 del 29 agosto 2005, haaffermato che, il diritto alle prestazioni in materia, garantisce l’attuazione dei diritti fondamentali della persona umana, trattasi di un diritto incomprimibile che, potendo patire differenze sull’intero territorio nazionale, costituisce un livello minimo essenziale. Tale disciplina in particolare: Ciò posto, esattamente i ricorrenti ricordano che un ragazzo disabile per meglio vivere la
quotidianità della scuola deve avere l’aiuto di tre figure specialistiche, ciascuna con un ruolo
completamente diverso e complementare. In particolare: a) l’insegnante di sostegno nominato dal
Ministero; b) l’assistente educativo e/o alla comunicazione che, per la scuola elementare, sarebbe
di competenza esclusiva del Comune di Roma e che ha il compito di aiutare il minore disabile ad
intraprendere un progetto incrementativo del proprio apprendimento mediante l’utilizzo anche di particolari tecniche che anche carenti di un riconoscimento scientifico aiutano il minore in questo percorso; c) l’assistente all’igiene di competenza del Ministero Istruzione che deve occuparsi dei bisogni del minore quali ad esempio portarlo nel bagno, aiutarlo durante i pasti eccetera. Nello specifico del caso di specie si rileva come, appare fondata – sotto due profili -- la dedotta
violazione, da parte delle autorità scolastiche, delle regole generali di formazione delle classi. Nella classe vi erano due alunni diversamente abili, per cui è fondata la dedotta violazione del
secondo comma, primo periodo, dell’art. 10 del D.M. 3 giugno 1999 n. 141 che pone il precetto per cui di regola, in una classe non vi può essere che un bambino diversamente abile. La possibilità di più svantaggiati è prevista solo in via eccezionale: «…la presenza di più di un alunno in situazione di handicap nella stessa classe può essere prevista in ipotesi residuale ed in presenza di handicap lievi.» Nel caso, deve in primo luogo escludersi la sussistenza di quest’ultima condizione in quanto è
evidente che, l’ipotesi prevista dalla norma, implica la «non gravità» di tutti i bambini handicappati, e non di uno di essi (come implicitamente sembra suggerire la relazione depositata dalla scuola). La gravità della condizione del figlio dei ricorrenti era, da sola, tale da non tollerare altre presenze
nell’ambito del gruppo, e comunque si rileva come in base alla descrizione della situazione, anche
le condizioni riferite dalla scuola dell’altro bambino non sembravano assumere il carattere della
lievità («immaturità globale dei prerequisiti» per l’apprendimento «in un’organizzazione borderline»). In una seconda prospettiva si rileva come, dato che è incontestato che la classe era formata da 22alunni, per cui era stato anche violato il secondo periodo del ricordato secondo comma dell’art. 10 del D.M. 3 giugno 1999 n. 141 per cui «Le classi iniziali che ospitano più di un alunno in situazioni di handicap sono costituite con non più di venti iscritti; per le classi intermedie il rispetto di tale limite deve essere rapportato all’esigenza di garantire la continuità didattica nelle stesse classi.» In sostanza la disposizione consente, limitatamente alle classi successive eventuali sforamenti
solo quando ricorrono esigenze di continuità didattica. Per questo non è accettabile sul piano giuridico e morale la giustificazione per cui, in luogo diprivilegiare la tutela dell’handicap, si era data la preferenza alle richieste dei genitori dei ragazzi normali per il tempo pieno. Al riguardo spetta al dirigente scolastico il potere di formazione delle classi in relazione alle
effettive esigenze che si siano manifestate successivamente alla definizione dell'organico di diritto,
quali, ad esempio, la necessità di due distinte sezioni in presenza di tre alunni portatori di
handicap, in attuazione delle disposizioni contenute negli art. 4 d.m. 15 marzo 1997, dell'art. 10
d.m. 24 luglio 1998 n. 331 e dell'art. 10 d.m. 3 giugno 1999 n. 141 (cfr. T.A.R. Toscana, sez. III, 25
settembre 2003, n. 5115; T.A.R. Toscana, sez. I, 18 marzo 2002, n. 519). Parimenti meritevole di accoglimento, nei sensi e nei limiti che seguono, è la doglianza circa laconfusione di ruoli tra l’assistente all’igiene (collaboratore scolastico statale) e l’assistenteeducativo e/o alla comunicazione (di competenza del Comune di Roma per la scuola elementare) il quale ha il compito di aiutare il minore disabile ad incrementare il proprio apprendimento mediante l’utilizzo anche di particolari tecniche che aiutino il minore in questo percorso. Alquanto vaghe e non specifiche al caso appaiono al riguardo le affermazioni della scuola che,
genericamente, afferma la presenza di propri «collaboratori scolastici» senza nulla meglio
specificare al riguardo circa la loro preparazione, la sufficienza del loro numero e la loro eventuale
specifica assegnazione all’alunno. Estremamente analitica è invece, e non a caso, l’indicazione
circa il numero e le ore degli insegnanti di sostegno (rispettivamente n. 4 di cui una per 22 ore Il Comune – con affermazioni ancora una volta del tutto generali – si limita a ricordare come il piccolo usufruisce della presenza di un assistente educativo comunale (c.d. AEC) qualificato e
preparato, per un totale di 25 ore settimanali senza indicare l’esatta qualifica es. (assistente
domiciliare, operatore sociale, psicologo, ecc.). In nessuna parte le amministrazioni resistenti specificano però chi assiste in concreto l’alunno. Proprio la genericità delle difese dell’Amministrazione comunale dà logico fondamento
all’affermazione per cui gli assistenti educativi comunali sarebbero nella realtà semplici operatori
non specializzati che sarebbero in concreto utilizzati come operatori all’igiene in supplenza degli Se il Collegio non ha dubbi che, come afferma la scuola, ogni operatore scolastico si adopera per
garantire lo «star bene a scuola di ciascun alunno» nondimeno l’organizzazione nel suo complesso
dei servizi scolastici e di quelli sociali deve essere tale da assicurare in concreto la presenza di
condizioni ottimali per favorire l’integrazione scolastica del bambino svantaggiato. Il che nella specie non è in concreto avvenuto. In conclusione il ricorso, nei profili qui esaminati, è dunque fondato e deve essere accolto. Per l’effetto deve essere pronunciato l’annullamento degli atti impugnati e dichiarato il diritto
dell’alunno handicappato rispettivamente ad essere l’unico alunno handicappato della classe ai
sensi dell’art. 10 del D.M. n. 141/1999; ad usufruire un AEC specializzato; ad avere un assistente Deve invece respingersi la domanda di risarcimento danni, in quanto anche limitando al quantum,
la fattura relativa alla visita specialistica appare nella specie difettare la prova della diretta ed
immediata riferibilità ed imputabilità alle vicende qui in esame. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in Euro 1.500,00 di cui € 500,00 per spese di
giudizio in favore dei ricorrenti. P.Q.M. il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio– Sez.IIIa-quater : dichiara il diritto del figlio dei ricorrenti: Il presidente f.f. dr.ssa Linda Sandulli |
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