Avvocato Domenico Esposito |
|||||||
PROVA TESTIMONIALE, COME ENTRA NEL PROCEDIMENTO TRIBUTARIO
Due le sentenze in esame. La prima, Cassazione sezione tributaria 16.5.2007 n.11202, condividendo quanto già espresso dalla Cassazione 15.11.2000 n.14774, hanno stabilito che le dichiarazioni testimoniali non ammesse nel processo tributario, a norma del D.Lgs. 31.12.1992 n. 546, art. 7 co 4, sono solo quelle da assumere avanti le commissioni tributarie, mentre le dichiarazioni assunte dalla guardia di finanza (anche in sede di indagini penali) o dagli organi dell'Amministrazione finanziaria ai privati, nella fase amministrativa di accertamento, sono utilizzabili.
Il valore delle deposizioni dei privati, assunte nelle modalità sopra specificate, è quello proprio degli elementi indiziari, i quali, da soli, non possono costituire fondamento della decisione, ma devono essere liberamente valutate dal Giudice, nel quadro del contesto probatorio complessivo.
il Giudice tributario può fondare il proprio convincimento anche sulle prove acquisite nel giudizio penale, anche se non vi è sentenza passata in giudicato, purchè proceda ad una propria ed autonoma valutazione.
La guardia di finanza, che trasmette all’agenzia delle entrate atti dell’indagine penale, senza autorizzazione del pubblico ministero, può avere conseguenze disciplinari; gli atti trasmessi senza autorizzazione sono comunque autonomamente valutabili dal giudice tributario.
La seconda sentenza, Cassazione sezione tributaria 16.4.2008 n.58, ribadisce il principio di utilizzabilità delle dichiarazioni dei terzi, assunte nel procedimento amministrativo, nonché delle prove assunte nel processo penale.
CASSAZIONE CIVILE , SEZIONE TRIBUTARIA, 16.5.2007, N. 11202 Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: ha pronunciato la seguente:
sul ricorso (iscritto al RG. n. 13118/01) proposto da: contro la s.r.l. (…), con sede in (…), in persona del legale rappresentante pro tempore D.G. V., elettivamente domiciliata in Roma alla Via (…) presso lo studio dell' avv. (…) dal quale è rappresentata e difesa, "unitamente e disgiuntamente all'avv. (…) del Foro di Teramo", in forza della procura speciale apposta a margine del controricorso; - controricorrente - contro il MINISTERO e l'AGENZIA detti; - intimati - entrambi i ricorsi avverso la sentenza n. 152/13/99 depositata il 30 marzo 2000 dalla Commissione Tributaria Regionale del Piemonte;
(1) con "avviso di accertamento" notificato il 28 maggio 1996 il competente Ufficio Distrettuale delle Imposte Dirette, "sulla base delle risultanze del P.V. di constatazione redatto il 6 luglio 1995 dalla Guardia di Finanza di Teramo", aveva rettificato la dichiarazione presentata da detta società per l'anno 1991 contestando, ai fini dell'IRPEG: (a) "utilizzo di fatture per operazioni inesistenti" (L. 798.000.000); (c) "costi indeducibili per trasporti fittizi" (L. 129.000);
(2) "l'indagine della Guardia di Finanza aveva riguardato diverse società (oltre alla …, la …, la …, la … e la …), tutte situate nella zona industriale di Ancorano e facenti capo ad un'unica struttura aziendale, amministrata dai coniugi (…) e (…), dal figlio (…) e da (...)";
(3) "i recuperi oggetto dell'accertamento riguardavano complesse operazioni di compravendita ed assemblaggio di beni strumentali da parte della società (...) che cedeva questi ultimi a società di leasing le quali, a loro volta li concedevano a diverse società facenti capo al gruppo (…) al fine di usufruire delle agevolazioni fiscali previste dalla cd. Legge Visentini", ("il ruolo della … era quello di acquistare pezzi di macchinari da società appartenenti al gruppo …, di assemblarli e successivamente rivendere i beni strumentali così assemblati ad alcune società di leasing le quali, a loro volta, li concedevano alle stesse società del gruppo … (…, …, …)"
-, in forza di QUATTRO motivi, chiedevano di cassare ("con ogni conseguente pronunzia" e con refusione delle spese), la sentenza n. 152/13/99 depositata il 30 marzo 2000 dalla Commissione Tributaria Regionale del Piemonte la quale aveva disatteso il gravame dell'Ufficio avverso la decisione (56/31/98) con cui la Commissione Tributaria Provinciale di Torino aveva accolto il ricorso proposto dalla contribuente contro l'avviso suddetto. Nel controricorso notificato il 22 giugno 2001 (depositato il 10 luglio 2001), la società intimata instava per la reiezione dell'avversa impugnazione e, in forza di un "unico complesso motivo", spiegava ricorso incidentale condizionato contro la medesima sentenza. 2. Con questa la Commissione Tributaria Regionale - ricordato che con l'avviso di accertamento era stato contestato (1) l'"utilizzo (di) fatture di spesa per operazioni inesistenti", (2) la indeducibilità di "costi ... per fatturazione superiore a quella reale" e (3) la fittizietà di "costi per trasporti" - ha rigettato l'appello dell'Ufficio affermando: - "a sostegno delle loro tesi di manomissione dei macchinari onde poter lucrare facendoli apparire nuovi", la Guardia di Finanza e l'Ufficio adducono "solo deposizioni testimoniali, non prove documentali" e la "prova per testi va considerata tamquam non esset, stante la sua inammissibilità sancita dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7";
Per la Commissione Tributaria Regionale, poi, (1) "lo stesso motivo vale anche per la indeducibilità le spese di trasporto" e (2) "la ragione addotta" in ordine al "recupero dei 11 milioni" non "non merita accoglimento" perchè "non determinata e non provata". 3. Con il primo motivo di ricorso le amministrazioni pubbliche - riprodotto il conferente contenuto dell' atto di appello - censurano il giudizio espresso dal Giudice a quo in ordine alla utilizzabilità delle "deposizioni testimoniali" ed alle "spiegazioni fornite dall'appellato circa le ragioni che sottostanno alla limatura delle targhette sui macchinari e sull'utilizzo di ricambi usati" e lamentano in ordine allo stesso, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, "violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7" nonchè "motivazione carente, illogica e contraddittoria" adducendo che: - come precisato da questa Corte (trib., 15 novembre 2000 n. 14774) "il divieto di ammissione della prova testimoniale nel giudizio innanzi alle commissioni tributarie, sancito dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7, comma 4 (che riproduce la disposizione analoga contenuta nel D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 35, comma 5) si riferisce alla prova testimoniale quale prova da assumere nel processo con le garanzie del contraddittorio e non implica, pertanto, l'impossibilità di utilizzare, ai fini della decisione, le dichiarazioni che gli organi dell'Amministrazione finanziaria sono autorizzati a richiedere anche ai privati nella fase amministrativa di accertamento anche sul conto di un determinato contribuente (D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, comma 1; D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51)";
Il motivo deve essere accolto perchè fondato. A. La disposizione contenuta nel comma 4 (numerazione originaria) del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7 - secondo cui nel processo tributario "non sono ammessi il giuramento e la prova testimoniale", invero, ha valenza esclusivamente processuale nel senso che tale divieto - in quanto limitativo unicamente dei "poteri" (che la norma regola) "delle commissioni tributarie" e non pure, quindi, dei "poteri" degli organi amministrativi di verifica, disciplinati da altre disposizioni - vale soltanto (Cass., trib., 2 novembre 2005 n. 21268; id., 5 luglio 2001 n. 9100; id., trib., 15 novembre 2000 n. 14774) per la diretta assunzione, da parte del Giudice tributario, nel contraddittorio delle parti, della narrazione di fatti della controversia compiuta da un terzo, ovverosia per quella narrazione che, in quanto richiedente la formulazione di specifici capitoli e la prestazione di un giuramento da parte del terzo assunto quale teste, acquista, conseguentemente, un particolare valore probatorio. B. Le dichiarazioni dei terzi raccolte dai verificatori (quand' anche in seno a procedimento penale: Cass., trib., 11 marzo 2002 n. 3526) ed inserite nel processo verbale di constatazione, invece (Cass., trib., 29 luglio 2005 n. 16032), hanno natura di mere informazioni acquisite nell'ambito di indagini amministrative e, pertanto, sono pienamente utilizzabili quali elementi di prova. C. L'osservanza dei principi del giusto processo e della parità delle parti di cui al nuovo testo dell'art. 111 Cost., inoltre (Corte Cost. 21 gennaio 2000 n. lo), impone di riconoscere anche alla parte privata la facoltà di introdurre, nel giudizio dinanzi alle commissioni tributarie, dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale. D. Siffatte dichiarazioni, da qualsiasi parte processuale prodotte, hanno (Cass., trib., 15 aprile 2003 n. 5957; id., trib., 25 marzo 2003 n. 4269; id., trib., 25 gennaio 2002 n. 903) sempre e solo il valore probatorio proprio degli elementi indiziari e, pertanto, non potendo costituire da sole il fondamento della decisione, vanno liberamente valutate dal Giudice nel contesto probatorio emergente dagli atti, secondo il suo prudente apprezzamento (ovviamente non sindacabile in sede di legittimità ove adeguatamente e non illogicamente motivato).
4. Con il secondo motivo le ricorrenti criticano l'affermata validità delle "spiegazioni fornite dall'appellato circa le ragioni che sottostanno alla limatura delle targhette sui macchinari e sull'utilizzo di ricambi usati" e lamentano in ordine alla stessa, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 5, "motivazione carente, illogica e contraddittoria" adducendo che: - "trattasi chiaramente di una pseudo motivazione che non consente di comprendere i motivi di rigetto del gravame ... sul punto"; - "non si comprende come la necessità di evitare spionaggio industriale possa portare a delle alterazioni degli elementi identificativi dei macchinari". Le amministrazioni aggiungono, poi, che la Commissione Tributaria Regionale non ha considerato vari "elementi" – (1) "le società utilizzavano un solo magazzino ed un unico ufficio commerciale con lo stesso personale tecnico"; (2) "le società utilizzavano anche gli stessi beni strumentali con passaggi di beni tra società del gruppo"; (3) "come accertato da un tecnico dell'UTE ..., dai macchinari erano state asportate le originarie targhette metalliche di identificazione e apposte, in sostituzione, targhette adesive, variando più volte i dati identificativi"; (4) "l'UTE ... aveva accertato che non si trattava di macchinari nuovi, bensì usati"; (5) "il luogo dove si asseriva avvenire l'assemblaggio dei materiali (un box sotterraneo) non era raggiungibile con automezzi di grosse dimensioni e quindi era da ritenersi inadeguato allo scopo a cui si asseriva destinato" - i quali "ben avrebbero potuto costituire", "anche indipendentemente dalle dichiarazioni testimoniali", "quelle presunzioni gravi, precise e concordanti" giustificatrici, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), dell'"accertamento effettuato".
La sentenza, inoltre, non accenna assolutamente (e, quindi, non le accerta nè le considera nel suo giudizio) alle rilevanti circostanze, addotte dall' Ufficio, (2) dell'operazione di sostituzione delle originarie targhette metalliche con targhette adesive e (2) della reiterazione della sostituzione dei dati identificativi riportati in queste ultime nè, di conseguenza, si pone il problema del perchè di tali operazioni se non logicamente e convincentemente giustificate (con argomentazioni e prove) dalla parte che le ha poste in essere, rivelandosi, in mancanza, del tutto astratte, apodittiche ed indeterminate le esigenze di "privacy" o di tutela del know-how addotte dalla contribuente. Per tali considerazioni la sentenza impugnata deve essere cassata anche per quanto concerne le censure appena esaminate. 5. Con il terzo motivo le Amministrazioni pubbliche disapprovano la rilevanza riconosciuta nella decisione impugnata alla "sentenza di proscioglimento emessa dal GIP presso il Tribunale di Teramo nei confronti degli amministratori della (…)" e in ordine alla stessa denunziano, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3, "violazione e falsa applicazione dell'art. 654 c.p.p." nonchè "del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 63 e del D.P.R 29 settembre 1973, n. 600" richiamando la decisione di questa sezione (n. 2728 del 24 febbraio 2001) secondo la quale "l'efficacia vincolante del giudicato penale nel giudizio civile o amministrativo sancita dall'art. 654 c.p.p., è subordinata alla duplice condizione che il giudicato stesso sia fatto valere nei confronti di chi abbia partecipato al giudizio penale, e che la legge civile non ponga limiti alla prova del diritto controverso.
Ne consegue che, trovando applicazione la citata disposizione anche con riferimento ai reati previsti in leggi speciali (art. 207 disp. att. c.p.p.), deve ritenersi modificata la disciplina della l. n. 516 del 1982, art. 12, comma 1, con conseguente impossibilità di far valere detto giudicato penale nel processo tributario, pur se l'amministrazione finanziaria si sia costituita parte civile (come, ancora, implicitamente confermato del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 20), poichè in esso sono posti limiti alla prova del diritto controverso, del D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 7, comma 4 (e, prima ancora, D.P.R. n. 636 del 1972, ex art. 35, comma 5)". La, censura deve essere respinta perchè priva di pregio. Il Giudice tributario di appello, invero, ha attribuito rilevanza (appare "rilevante") alla "pronuncia penale 219/97" ("con la quale il GIP ha assolto gli amministratori succedutisi nella (…), considerato che non sussiste .. agli atti alcun elemento dal quale poter desumere in capo dei predetti imputati la colpevolezza in ordine alla fittizietà delle operazioni documentate") in base alla considerazione che "a norma del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 63 e D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33, non v'è ragione di non tener conto di tale autorevole giudicato".
6. Con il quarto (ed ultimo) motivo, infine, le Amministrazioni pubbliche censurano la legittimità della deduzione della "somma di L. 17.000.000 per spese di trasporto fittizie" affermata nella sentenza, di secondo grado e sostengono che la relativa "motivazione" (ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 5) sia "carente, illogica e contraddittoria" in quanto in appello l'Ufficio aveva evidenziato che il recupero a tassazione di detta somma traeva origine "dalle dichiarazioni rese dal sig. B. che sono state ... ampiamente suffragate dal relativo riscontro contabile (vedasi fogli (…) PVC" per cui "sotto tale profilo la sentenza è da ritenersi viziata, oltre che per difetto di motivazione, anche per l'erronea interpretazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, come (...) ha evidenziato nel primo motivo di ricorso".
La sentenza impugnata, pertanto, deve essere cassata anche in ordine al punto in contesa concernente il recupero a tassazione della "somma di L. 17.000.000 per spese di trasporto fittizie". 7. Con l'unico motivo del suo ricorso incidentale, espressamente spiegato per l'"eventualità di un accoglimento del ricorso principale", la contribuente - premesso (a) che nel suo appello incidentale essa aveva sostenuto, "sotto molti profili", "l'illegittimità dell'autorizzazione concessa dal Pubblico Ministero in data 21 settembre 1994 perchè fossero utilizzati, ai fini fiscali, dati ed informazioni affluiti nel fascicolo del Pubblico Ministero" e (b) che il Giudice d'appello ha respinto tale gravame avendo ritenuto "ininfluenti ed ultronee" le "eccezioni avanzate" -, denunzia (in relazione dell'art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5) "nullità della sentenza per violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato", "violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 33 e 63 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 63, con riferimento agli artt. 114 e 329 c.p.c., dall'art. 29 Cost., comma 2", nonchè "omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia" adducendo che l'"autorizzazione dell'autorità giudiziaria" (avente natura di "provvedimento amministrativo anzichè giurisdizionale, del tutto estraneo al procedimento penale ed appartenente invece al procedimento amministrativo di accertamento del tributo") costituisce "elemento centrale della fattispecie" in quanto la stessa rappresenta un "vero e proprio volano della prova acquisita in fase di indagine penale, in seno al processo tributario" con conseguente: La contribuente sostiene, infine, che nel caso "l'autorizzazione non avrebbe potuto essere rilasciata in deroga al segreto delle indagini preliminari" perchè la stessa "va rilasciata in relazione (e cioè in conformità) al segreto istruttorio". Il ricorso incidentale deve essere respinto perchè infondato. B. In ordine a tale disposizione, in carenza di qualsivoglia convincente argomentazione contraria (che non si rinviene nel riprodotto motivo di ricorso, il quale non accenna proprio alla preliminare questione), va ribadito il principio già affermato da questa sezione (sentenze: 16 giugno 2006 n. 14058; 23 dicembre 2005 n. 28695) a mente del quale la "previa autorizzazione" dell'autorità giudiziaria, richiesta dalla norma per la trasmissione, agli uffici delle imposte, di documenti, dati e notizie acquisiti dalla Guardia di Finanza nell'ambito di un procedimento penale, è posta esclusivamente a tutela della riservatezza delle indagini penali e non pure dei soggetti coinvolti nel procedimento medesimo ovvero di terzi, con la conseguenza che la mancanza dell'autorizzazione, se può avere riflessi anche disciplinari a carico del trasgressore, non tocca l'efficacia probatoria dei dati trasmessi, nè implica l'invalidità dell'atto impositivo adottato sulla scorta degli stessi: l'autorizzazione in questione, infatti, come sottolineato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 51 del 18 febbraio 1992 (secondo cui "la previa autorizzazione del Giudice ... è espressamente giustificata dell'esigenza di salvaguardare l'efficienza e il buon esito della indagine penale e di tutelare i diritti della persona sottoposta all'indagine medesima") è stata introdotta per realizzare una maggiore tutela degli interessi protetti dal segreto istruttorio (costituente, per la Corte delle leggi, "l'unico limite che occorre rispettare nella altrimenti piena possibilità della polizia giudiziaria di trasmettere agli uffici delle imposte gli anzidetti dati"), piuttosto che ( Cass., trib., 12 maggio 2003 n. 7208) per filtrare ulteriormente l'acquisizione di elementi significativi a fini fiscali. Da tale principio discende l'assoluta irrilevanza, ai fini della validità dell'accertamento tributario oggetto del presente processo, dell'esame non solo della legittimità dell'autorizzazione concessa dall'autorità giudiziaria ma anche del contenuto della stessa: tale considerazione, come ovvio, travolge anche l'eventuale omissione di pronuncia sul punto da parte del Giudice del merito in quanto la censura, in definitiva, investe una questione del tutto priva di importanza ai fini della decisione. 8. L'accoglimento del primo, del secondo e del quarto motivo del (solo) ricorso principale e la conseguente cassazione della sentenza impugnata per i capi interessati da tali motivi impone di rinviare la causa ad altra sezione della stessa Commissione Tributaria Regionale che ha pronunciato la decisione cassata: (a) facendo applicazione degli enunciati principi di diritto e (b) dando compiuta e congrua motivazione, nella decisione adottanda, della integrale e logica valutazione di tutti gli elementi probatori offerti dalle parti, e;
CASSAZIONE CIVILE , SEZIONE TRIBUTARIA, 16 APRILE 2008, N. 9958
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE sentenza sul ricorso proposto da: contro Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso L'Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ope legis; - controricorrente – e contro Ministero dell’Eonomia e delle Finanze, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma via Dei Portoghesi 12, presso l'Avvocatura Generale dello Stato Stato, che lo rappresenta e avverso la sentenza n. 253/01 della Commissione tributaria regionale di Bologna, depositata il 20/12/01; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/02/08 dal Consigliere Dott. SOTGIU Simonetta; La Commissione Tributaria Provinciale di Modena ha accolto parzialmente i ricorsi, riconoscendo la deducibilità di costi per complessive L. 75.914.000. La Commissione Tributaria Regionale dell'Emilia Romagna ha confermato con sentenza 20 dicembre 2001, la sentenza di primo grado disattendendo, come prove inammissibili, le dichiarazioni circa la esistenza di una precedente situazione creditoria nei confronti del S. da parte dei beneficiari degli assegni contestati, prodotti peraltro in copia fotostatica e senza data certa, e non censurabile la discrezionalità amministrativa che aveva presieduto all'applicazione delle sanzioni. (…) chiede la cassazione di tale sentenza sulla base di tre motivi. Col secondo motivo, adducendo violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, e del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, e art. 53 Cost., nonchè vizio di motivazione della sentenza impugnata, il ricorrente sostiene, sulla base delle considerazioni svolte dal Giudice penale, l'irrazionalità del risultato complessivo dell'accertamento, disancorato dalla capacità contributiva del contribuente accertato, censura sulla quale la Commissione Regionale aveva evitato di esprimersi. Sarebbe inoltre contraddittorio ammettere costi deducibili in ordine ad operazioni ritenute oggettivamente inesistenti. I primi due motivi di ricorso sono fondati nei limiti che saranno appresso indicati. Con riguardo al primo motivo, pur dovendo correggersi l'espressione usata dalla Commissione Regionale in ordine alla valutazione delle dichiarazioni dei terzi beneficiari degli assegni, prodotte dal contribuente, dichiarazione, valutazione ammissibile sulla base della parità di poteri che devono riconoscersi a tutte le parti processuali (Cass. 4269/2002), va rilevato che la Commissione regionale ha di fatto affermato la inattendibilità di tali dichiarazioni, perchè prive di supporto probatorio adeguato, e tale giudizio non è censurabile in questa sede. Va invece rilevato, con accoglimento delle doglianze del contribuente sotto tale profilo, che è stata dedotta la sopravvenienza, in sede di appello, di un giudicato penale, ovviamente non esaminato dai primi Giudici, il quale non soltanto afferma la inesistenza solo soggettiva delle fatture oggetto della rettifica, ma propone un riscontro contabile, dal quale risulterebbe una sostanziale corrispondenza (dal 50% al 90% nelle varie annualità) fra le vendite e gli acquisti, come riportati nelle fatture contestate. Ora, considerate le affermazioni del contribuente, sempre dirette a sostenere la tesi successivamente fatta propria dal Giudice penale sulla base dei riscontri contabili - cioè la oggettività degli acquisti fatturati, secondo gli usi, mediante intermediazione, e quindi la probabile falsità dei soli soggetti emittenti i Giudici d'appello non potevano esimersi dal valutare, nel quadro indiziario complessivo (cfr:Cass. 21953/2007), la portata del giudicato penale, per stabilire, proprio in relazione al rapporto acquisti/vendite, se le operazioni commerciali, oggetto delle fatture, siano state effettivamente poste in essere, e quindi stabilire la reale entità dell'imponibile presumibilmente evaso, considerato che, per giustificare altrimenti tale corrispondenza, i verbalizzanti hanno dovuto ipotizzare un poco comprensibile rincaro su presunti ricavi (e per talune annualità, anche sulle vendite) con un'operazione contabile di dubbia efficacia. Ciò in quanto, qualora l'Amministrazione fornisca elementi di prova atti ad affermare la falsità di fatture, in quanto emesse per operazioni inesistenti, e il contribuente offra, anche attraverso la produzione di un giudicato penale, validi indizi in senso contrario o quanto meno nel senso della effettiva realizzazione delle operazioni commerciali, anche se con riferimento a soggetti. non correttamente identificati - il Giudice di merito deve prendere in considerazione il quadro indiziario complessivo, al fine di determinare con la maggior probabilità possibile la disponibilità patrimoniale dell'utilizzatore delle fatture, e i limiti della contestata evasione. Accolti dunque, per quanto di ragione, i primi due motivi, è fondato e va accolto anche il terzo motivo, col quale il ricorrente denuncia violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 42 e 54, e del D.Lgs. n. 472 del 1997, artt. 3 e 12, nonchè vizio di motivazione della sentenza impugnata, che ha affermato di non poter censurare l'entità delle sanzioni - applicate nel massimo senza giustificazione - perchè subordinata alla discrezionalità dell'Amministrazione, evitando anche di riconoscere l'applicabilità di un'unica sanzione pecuniaria, (eventualmente aumentata fino al doppio), in relazioni ad una pluralità di violazioni commesse in periodi di imposta diversi, secondo quanto disposto dal D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 3, applicabile retroattivamente. La doglianza è infatti fondata sulla base della giurisprudenza di questa Corte (Cass. 2609/2000) che ha affermato il principio dell'applicazione retroattiva della legge più favorevole, di cui al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 3, con la conseguenza che è obbligatorio, e non discrezionale, il cumulo giuridico di sanzioni relative a violazioni riguardanti anche: periodi diversi. Accolto pertanto complessivamente il ricorso per quanto di ragione, gli atti vanno rimessi per una nuova valutazione da compiersi secondo quanto sopra esposto, ad altra Sezione della Commissione Tributaria Regionale della Emilia Romagna, che liquiderà anche le spese del presente grado di giudizio. |
|||||||