Avvocato Domenico Esposito |
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QUANDO SI PUO’ PARLARE DI CONCORRENZA SLEALE PER SVIAMENTO DEI DIPENDENTI, UTILIZZAZIONE DA PARTE LORO DI PREGRESSE CONOSCENZE AZIENDALI E VENDITA SOTTOCOSTO
Con l’ordinanza riportata, il Tribunale di S. Maria Capua Vetere, in tema di concorrenza sleale, ha stabilito:
L’ordinanza è evidenziata in grassetto o sottolineato per facilitarne la lettura.
TRIBUNALE DI S. MARIA CAPUA VETERE, 20 GIUGNO 2006
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO il giudice istruttore presso il tribunale di s. Maria C.V., 1^ Sezione civile, dott. Giovanni D’Onofrio, in funzione di giudice unico, ha emesso la seguente : ordinanza nella causa n° 2483 del Ruolo Generale Civile dell’anno 2006, avente ad oggetto: provvedimento di urgenza in materia di concorrenza sleale Considerato in fatto Con ricorso depositato il 21 aprile 2006 la società (...), assumendo di svolgere attività di produzione e vendita all’ingrosso di imballaggi in cartone ondulato, acquistando la materia prima anche dalla società resistente (...), deduceva che il 21 novembre del 2005 Tizio, dipendente addetto al proprio settore commerciale, aveva – senza preavviso – presentato le dimissioni, senza neppure ritirare le sue spettanze di fine rapporto, avendo poi conoscenza del fatto che svolgeva da qualche tempo la sua attività commerciale presso la (...). Assumeva che il Tizio aveva asportato il tabulato dei clienti, gli articoli dagli stessi clienti ordinati e i prezzi praticati, utilizzando tali dati riservati al fine di effettuare concorrenza parassitaria ai danni dell’istante. La (...), utilizzando tali dati, a dire della ricorrente, contattava diversi clienti della (...) e proponeva gli stessi articoli a prezzi ribassati del 20%. La resistente stava effettuando tale attività anche sui piccoli clienti, comportando ciò la perdita di circa una ventina degli stessi da parte dell’attrice. Numerosi clienti avevano anche chiesto alla (...) di abbassare i suoi pre(...)i, il che avrebbe per la stessa comportato la vendita dei prodotti sottocosto. Concludeva perché fosse ordinato alla (...) l’inibizione all’esercizio dell’attività commerciale da parte di Tizio, con restituzione dei tabulati clienti, prodotti e prezzi illegittimamente asportati con condanna al risarcimento danni da quantificarsi in separato giudizio, vinte le spese di lite. Si costituiva la resistente che premetteva l’assunto secondo cui le carte per la fabbricazione di cartone ondulato fossero di varia qualità, distinguendosi tra carta a fibre vergini e carta a base di fibre riciclate con notevole differenza di pre(...)o a favore delle seconde. Nel mercato dei fogli di carta a base macero per ondulatori si rilevava la presenza del mercato dei fogli di cartone ondulato e il mercato degli imballaggi di cartone ondulato ad estensione nazionale. La resistente, cessata la produzione il 28 febbraio del 2001 con la conseguente apertura della procedura di concordato preventivo, era tornata in bonis con decreto del 26 luglio del 2005 dell’intestato tribunale che aveva dichiarato improseguibile il giudizio di omologazione del concordato preventivo per rinunzia alla domanda. La resistente assumeva di comprare le bobine di carta per ondulatori dalle multinazionali del settore ricavandone fogli di cartone ondulato e scatole destinate agli utili(...)atori finali: la convenuta non era dunque un fornitore di materia prima. La resistente, che pure aveva in passato occupato 63 operai e 18 impiegati con un volume di affari di circa 46 miliardi di lire vantando 158 clienti (tra cui la stessa ricorrente), occupava all’attualità 25 operai, tutti assunti, tranne uno, tramite la società di lavoro interinale (...) spa. Lo stesso Tizio era stato assunto il 9 gennaio del 2006 tramite la (...). Non rispondeva al vero il fatto che il Tizio avesse lasciato all’improvviso al società ricorrente, nulla peraltro avendo asportato dal vecchio posto di lavoro, essendo altresì sufficiente visionare il sito web della (...) per avere cognizione di tutti i dati relativi ai vari tipi di imballaggio con le loro dimensioni. La resistente, contrariamente all’assunto di parte istante, non praticava pre(...)i del 20% inferiori a quelli dell’attrice e, in ogni caso, non vendeva i prodotti sotto costo. Avendo essa da poco riaperto i battenti era alla ricerca del suo spazio di mercato ricontattando i suoi vecchi clienti e aggiungendone di nuovi, avendo un volume d’affari decisamente inferiore a quello della società ricorrente. Negava pertanto che nel caso di specie si fosse verificato uno storno di dipendenti da parte della resistente ai danni dell’attrice non sussistendone i presupposti in fatto e in diritto, ben potendo peraltro il dipendente utilizzaare il suo patrimonio di conoscenze in favore del datore di lavoro senza che ciò costituisse concorrenza sleale, non avendo acquisto il Tizio alcuna notizia riservata o coperta da segreti al punto di configurare concorrenze parassitarie ai danni dell’istante. Neppure si configurava nella specie alcuna vendita sotto costo da parte della resistente. Mancando i requisiti di fumus e periculum ed essendosi in presenza di un abuso dell’esercizio dell’azione cautelare, concludeva con il rigetto dell’avverso ricorso anche ex art. 96 cpc, vinte le spese di lite. Ritenuto in diritto. Il ricorso avanzato da parte ricorrente non può che essere disatteso. L’istante società chiede l’inibitoria dell’attività iniziata dal Tizio in favore della (...), ravvisando nella condotta della resistente gli estremi della concorrenza sleale sotto il profilo di cui all’art. 2598 n.3 cc. In realtà, parte ricorrente assume sussistenti i presupposti della concorrenza sleale in capo alla società resistente sotto tre differenti profili che andranno valutati analiticamente uno per volta: lo storno di dipendenti da parte della società resistente ai danni dell’istante, l’utilizzo di dati riservati della società attrice per l’interesse della convenuta, l’assunta vendita sotto costo da parte della (...) spa. Quanto al primo aspetto, la società ricorrente sostanzia lo storno dei dipendenti nella condotta della resistente che si sarebbe appropriata del suo dipendente addetto ai rapporti commerciali – Tizio – il quale, all’improvviso, avrebbe abbandonato il suo posto di lavoro presso la società attrice per essere immediatamente assunto dalla convenuta. Deve subito precisarsi che, contrariamente all’assunto della (...) srl, in punto di fatto risulta per tabulas che il Tizio presentava le dimissioni dalla sua precedente attività lavorativa il 21 novembre del 2005 e che veniva assunto dalla (...) attraverso la (...) spa agenzia di lavoro interinale, come è avvenuto del resto per tutti i dipendenti della società resistente. Manca dunque in primo luogo l’attività diretta materialmente al prospettato storno di dipendenti dal momento che il Tizio risulta essere stato assunto non direttamente dalla convenuta ma per il tramite di un’agenzia privata di collocamento di lavoratori, ciò escludendo ab imis qualunque pure assunta attività finalizzata e preordinata allo storno degli altri dipendenti (caratterizzato dalla necessità di cercare un punto di equilibrio tra due interessi configgenti rappresentati l’uno dall’aspirazione del concorrente danneggiato alla conservazione della massima produttività dell’impresa e l’altro dalla aspirazione del lavoratore alla libertà di autodeterminazione nella scelta del lavoro) ha comportato la nascita di due orientamenti contrapposti: il primo, cosiddetto oggettivo, che tende a valutare l’illiceità dei fatti sulla scorta di un’indagine basata esclusivamente sugli elementi fattuali, l’altro cd. soggettivo o finalistico che ha ritenuto insufficiente il dato oggettivo se non accompagnato dalla valutazione imprescindibile dell’animus nocendi, inteso come volontà intenzionale dell’imprenditore di danneggiare attraverso lo storno di dipendenti l’altrui impresa. Si privilegia, in realtà, l’indirizzo intermedio che, dando conto dell’illiceità oggettiva del comportamento, tende a valutare i fatti anche in relazione alla finalità soggettiva che possa averli ispirati. “Perché lo storno di dipendenti possa essere qualificato come atto di concorrenza sleale da parte dell’impresa concorrente occorre che l’assunzione del personale altrui sia avvenuta con modalità tali da non potersi giustificare alla luce dei principi di correttezza professionale, se non supponendo nell’autore l’intenzione di danneggiare l’impresa concorrente. A tal fine, la configurabilità dello storno non è preclusa [dal fatto] che contatti per passare alle dipendenze dell’impresa concorrente o per iniziare con questa un rapporto collaborativo siano avviati per iniziativa degli stessi dipendenti o agenti successivamente “stornati”, sempre che su tale iniziativa venga poi ad inserirsi l’attività dell’impresa concorrente sì da incidere casualmente (tramite, ad esempio, l’offerta di un migliore trattamento economico o di altri vantaggi) sulla decisione dei primi di interrompere il rapporto di lavoro con l’impresa in cui si trovano inseriti. (in questo senso : Cassazione civile, sez. I, 22 luglio 2004, n.13658). La concorrenza illecita per mancanza di conformità ai principi della correttezza non può mai derivare dalla mera constatazione di un passaggio di collaboratori (cosiddetto storno di dipendenti) da un’impresa ad un’altra concorrente, né dalla contrattazione che un imprenditore intrattenga con il collaboratore del concorrente (attività in quanto tali legittime); essa deve essere, piuttosto, desunta dall’obiettivo che l’imprenditore concorrente si proponga, attraverso il menzionato passaggio, di vanificare lo sforzo di investimento del suo antagonista, creando nel mercato l’effetto confusorio, o discreditante, o parassitario capace di attribuire ingiustamente, a chi lo cagiona, il frutto dell’investimento (ossia, l’avviamento) di chi lo subisce. (Cassazione civile, sez. I, 9 giugno 1998, n. 5671). Ciò posto, occorre dunque rilevare che nel caso di specie non sussiste né l’elemento materiale, né quello soggettivo dello storno di dipendenti dal momento che, avendo interrotto nel novembre del 2005 il proprio rapporto di lavoro il Tizio con la società ricorrente, veniva posto in contatto con la resistente soltanto mediante l’intermediazione della (...) s.p.a., agenzia interinale, mancando dunque in capo alla convenuta sia l’elemento oggettivo dello storno sia l’elemento psicologico dell’animus nocendi. Se è vero dunque che i parametri di scorrettezza sono stati individuati “nel numero di dipendenti stornati, nella loro competenza professionale, nel ruolo che essi rivestivano nell’impresa stornata, nella concentrazione temporale degli atti di storno, nella preordinazione di tale attività alla sottrazione di informazioni aziendali altrui delle quali la stornante intende impadronirsi, nella volontà di disgregare o indebolire, attraverso lo storno, l’altrui impresa, ovvero nell’avvalersi in modo parassitario degli investimenti formativi realizzati dall’impresa stornata sui dipendenti stornati” (Tribunale Torino 28 dicembre 2004) deve ritenersi che essi non siano in alcun modo sussistenti, né provati con riferimento al caso considerato. Prendendo poi in considerazione il secondo profilo, costituito e rappresentato dalla assunta illecita acquisizione da parte del Tizio del tabulato clienti e delle notizie riservate relative ed inerenti i prezzi e le dimensioni dei prodotti oggetto di vendita, occorre osservare in primo luogo che lo stesso Tizio ha negato la stessa esistenza di tabulati clienti della società attrice dei quali si sarebbe appropriato, nulla di diverso potendo assumere Caia, responsabile commerciale della ditta istante, che ha apoditticamente dichiarato di ritenere che il Tizio si sia appropriato dei tabulati deducendolo non da circostanze dirette attestanti la prova dell’intervenuta appropriazione, ma desumendolo dal fatto che la (...) risulta contattare molti clienti della istante. Posto che le caratteristiche dei prodotti venduti dalla ricorrente risultano pubblicizzati via internet sul proprio sito web, cosa che esclude che si tratti di informazioni riservate con riferimento alle stesse e considerato altresì che, come chiarito dallo stesso Tizio, le misure e le caratteristiche delle scatole da acquistare vengono fornite ad ogni scatolificio direttamente dal cliente (in settore peraltro di bassa fidelizzazione, nel senso che ogni cliente si appoggia a diversi fornitori, non esclusivizzando per ragioni economiche e di opportunità i rapporti commerciali), deve altresì rilevarsi che alcuna prova sussista in atti della intervenuta appropriazione da parte del Tizio di tale tabulato con conseguente reiezione della domanda anche sotto tale profilo. Va ancora considerato dal punto di vista giuridico che, come ormai chiarito anche dalla giurisprudenza di legittimità, nella fattispecie considerata – che incide su posizioni soggettive di rilievo costituzionale, attinenti, da un lato, alla libertà della iniziativa economica e, dall’altro, alla libera espressione della personalità, che possono entrare in conflitto quando, appunto, l’espressione di capacità personali di un soggetto costituisca eventuale pregiudizio per un’impresa operante – non può negarsi che, l’evoluzione professionale del lavoratore, la quale dipenda da conoscenze acquisite nel corso ed a causa del rapporto di lavoro, possa, in quanto divenuta ormai parte comunque della personalità del medesimo, essere da lui legittimamente portata a supporto di sue migliori possibilità professionali nella vita di relazione. (sia che ciò avvenga in ulteriori e successivi rapporti di lavoro alle dipendenze di altri imprenditori, sia anche che si manifesti nella impostazione di una propria iniziativa imprenditoriale: della quale la competizione concorrenziale, anche con il precedente datore di lavoro, costituisce situazione fisiologica, anche quando si traduca nell’acquisizione di componenti dell’altrui clientela). E’ poi anche vero che, nel momento in cui l’ex dipendente utilizzi in modo concorrenziale la professionalità così acquisita, si rendano applicabili le regole di correttezza professionale, che rinviano al buon costume commerciale. E che, per tale profilo, la linea di confine della concorrenza possa anche individuarsi nel divieto della concorrenza parassitaria, volta a sviare a proprio vantaggio i valori aziendali di imprese preesistenti e in particolare in quelle di provenienza. Ma va precisato, con riguardo a quest’ultima ipotesi, che non può considerarsi illecita l’utilizzazione del valore aziendale esclusivamente costituito dalle capacità professionali dello stesso ex dipendente, non distinguibili dalla sua persona; poiché, in caso contrario, si perverrebbe al risultato, duplicemente inaccettabile, di vanificare i valori della libertà individuale inerenti alla personalità del lavoratore, costringendolo ad una situazione di dipendenza che andrebbe oltre i limiti contrattuali, e di privilegiare nell’impresa, precedente datrice di lavoro, una rendita parassitaria derivante, una volta per tutte, dalla scelta felicemente a suo tempo fatta con l’assunzione di quel dipendente (in questo senso Cass. 2002/14479). Si vuole dunque dire, con riferimento al caso di specie, che l’eventuale contatto dei clienti della società ricorrente (in assenza di prove di acquisizione illecita di tabulati) non costituisce di per sé meccanismo di concorrenza parassitaria ma, al contrario, libero esercizio della concorrenza in un fisiologico rapporto di competizione concorrenziale, (anche quando si traduca nell’acquisizione di componenti dell’altrui clientela), incombendo su colui che lamenta l’attività di concorrenza sleale, attuata mediante sottrazione della lista clienti, l’onere di provare che le stesse siano state consegnate all’imprenditore concorrente dagli ex collaboratori - in questo senso Corte di Appello di Torino 20/10/1995 – (prova insussistente nella specie), non sussistendo scorrettezza professionale nella lecita facoltà dell’ex dipendente di utilizzare le cognizioni acquisite nell’attuazione della prestazione di lavoro (essendo esse entrate a far parte del suo patrimonio personale di esperienze), salvo che non si tratti di segreti aziendali – e non è il nostro caso – o di conoscenze non accessibili (Tribunale di Torino aprile 2004): non costituisce infine neppure concorrenza sleale lo sfruttamento da parte dell’ex dipendente passato alle dipendenze di un’impresa concorrente delle conoscenze tecniche, delle esperienze e financo delle informazioni relative alla politica commerciale dell’impresa dalla quale egli proviene (Tribunale di Roma marzo 2003). Alla luce delle sueposte considerazioni non può che disattendersi nella specie anche tale ulteriore profilo contenuto nel ricorso introduttivo. Da ultimo, occorre prendere in considerazione l’aspetto lamentato della vendita sottocosto da parte della resistente: in concreto, la società attrice lamenta che i prezzi applicati dalla concorrente del 20% più bassi dei propri, se fatti propri anche dalla istante, ne determinerebbero vendita sotto costo e conseguente chiusura. L’impostazione data al tema della vendita sotto costo non risulta corretto e comporta il respingimento anche di questa parte della domanda. A parte le questioni problematiche sollevate soprattutto dalla più attenta dottrina in ordine alla riferibilità di tale forma di concorrenza essenzialmente alle imprese tendenzialmente monopolistiche e dunque di per sé capaci di effettuare per un certo periodo di tempo vendite non remunerative con lo specifico fine di portare i concorrenti fuori dal mercato e all’esito di far luogo a pratiche di scorretto rialzo dei prezzi (se accedessimo a tale orientamento dovremo da subito escludere responsabilità in capo alla resistente non propriamente monopolistica nel suo settore essendo notevolmente inferiore per volume di affari rispetto all’attrice), deve osservarsi che parte istante non ha dato alcuna prova del fatto che la resistente pratichi prezzi inferiori ai sui costi. Come chiarito dal Giudice di legittimità, ai fini della configurabilità della concorrenza sleale, la cosiddetta vendita sottocosto (da intendersi, ai sensi degli artt. 10 legge n. 80 del 1980 e 15 d.lg. n. 114 del 1998, come vendita ad un prezzo inferiore a quello d’acquisto maggiorato dell’i.v.a.) va accertata in concreto, non al prezzo al quale lo stesso prodotto è stato acquistato dal soggetto autore della presunta vendita sottocosto (Cassazione civile, sez. I, 16 novembre 2000, n. 14844). Tale profilo non risulta in alcun modo indagato e tanto meno provato da parte ricorrente che – in modo erroneo – fa riferimento ai propri costi e non al rapporto costi/prezzi della concorrente società convenuta: a fronte dunque della asserzione di parte resistente di non vendere sotto costo (cosa invero particolarmente difficile per una società da poco ritornata in bonis) ma di avere abbattuto legittimamente i prezzi (peraltro neppure nella misura indicata dalla ricorrente) attraverso un’equa razionalizzaazione delle spese (profilo del tutto legittimo e coerente), anche con riferimento a quest’ultimo punto non rimane che rigettare il ricorso. Non sussistendo gli estremi della lite temeraria, il ricorso va tuttavia integralmente disatteso, dovendo le spese di lite seguire la soccombenza come per legge. P.Q.M. Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, 1^ sezione civile, definitivamente pronunciando sul ricorso d’urgenza proposto da (...) s.r.l. nei confronti di (...), così provvede: a) rigetta il ricorso; b) condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in complessivi euro 1600,00 di cui 850,00 per diritti, 700,00 per onorari, 50,00 per spese, oltre spese generali, cpa ed iva come per legge in favore dell’avv. (…) antistatario. Santa Maria Capua Vetere, 20/06/2006
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